BASILICA  PALEOCRISTIANA DI SAN FOCA

 

 

 

La piccola basilica paleocristiana priolese, sorge nell'omonima contrada che la popolazione, con accento errato, chiama di San Focà. E' ubicata in zona solitaria quasi pianeggiante (m. 23.50 s.l.m), compresa fra la parte finale di via Reno, in prossimità dell'Asilo Nido in costruzione, e l'imbocco di via Napoli, in posizione lievemente arretrata rispetto alla ex strada statale 114 Siracusa-Catania che si trova immediatamente ad est. La Basilica  fu edificata intorno al IV° secolo d.C. e strettamente collegata alle testimonianze paleocristiane delle catacombe Manomozza, della Porcheria e di Riuzzo I e II, il cristianesimo non era più perseguitato e il vescovo di Siracusa Germano ne ordinò la costruzione, e fu consacrata ad un santo orientale, Fòca, un ortolano martire di Sinòpe, una cittadina portuale situata sul Mar Nero nel punto più settentrionale dell' Anatolia. La sua festa si celebra il 22 settembre. Dobbiamo all'intuito dell'archeologo Paolo Orsi la scoperta di questa Basilica: egli, sulle tracce del cristianesimo primitivo nel suburbio di Priolo, era stato ammaliato, sin dal 1892, dalla strana conformazione architettonica della cadente chiesetta. Dopo vari sopralluoghi notò ciò che prima era sfuggito a tutti: la povera chiesa e l'attiguo romitorio erano stati costruiti dopo il terremoto del 1693 sulle rovine di una basilica paleocristiana. Pertanto originariamente essa si presentava come un edificio rettangolare diviso, secondo la lunghezza, in tre parti (o tre navate), da quattro file di robustissime mura (dallo spessore di oltre un metro) attraversate, ognuna, da cinque archi a tutto sesto di uguali dimensioni e sullo stesso asse dei corrispondenti. Le tre navate erano coperte da massicce volte a botte, indizio di molta antichità, mentre la larghezza delle due navate laterali era la metà esatta di quella centrale, che era chiusa ad est da un'abside. Un edificio di culto imponente, austero e robustissimo, reso armonioso dalla grande semplicità di linee e dalla estrema sobrietà decorativa: niente pitture nelle volte o nelle pareti, ma soltanto nella calotta dell'unica abside. Questa conformazione architettonica è rimasta pressoché invariata fino ai giorni nostri tranne che per la navata nord e le volte a botte, crollate a seguito di terremoti. Infatti il muro che chiudeva la navata laterale nord (nella pianta di Rosario Carta esso è tratteggiato), oggi è inesistente e mediante scavi, eseguiti dall'Orsi nel giardino della basilica, vennero rintracciate le fondamenta. Molto probabilmente lo sconquasso maggiore di buona parte delle primitive strutture murarie di questo antichissimo tempio in onore di S. Fòca martire avvenne a seguito del catastrofico terremoto dell'11 gennaio 1693 che sconvolse la Sicilia orientale. Quella tragedia che scombussolò anche la nostra basilica è riportata dallo storico Vito Maria Amico con quattro parole, rapide come un fulmine: giacque da un tremuoto. Dopo i rovinosi crolli la navata nord non venne più ricostruita e si preferì occludere, con pietrisco, le quattro arcate superstiti che attraversano l'attuale muro nord della navata centrale, che delimita la chiesa; un tamponamento provvisorio, sicuramente molto raffazzonato, evidenziato dal disegno di Rosario Carta, artista melillese al seguito di Paolo Orsi, eseguito alla fine dell'Ottocento. Poiché in Italia molto spesso non vi è nulla di più definitivo del provvisorio, da allora la struttura basilicale è rimasta tale e quale anche se in tempi recenti, tramite alcuni lavori di consolidamento, in verità molto economici, venne eliminato il pietrisco e gli archi furono rafforzati da quattro pilastri in mattoni.